Il teatro Kabuki mi ha sempre incuriosito, mi ci sono avvicinata prevalentemente attraverso i film o con gli anime e i manga giapponesi.
Per risalire alle origini di questa forma d’arte bisogna tornare al XVII secolo dove era interpretato da sole donne, solo successivamente con la proibizione dei diritti morali venne interpretato esclusivamente da uomini, usanza che è stata tramandata fino ai giorni nostri.
Teatro apprezzato dalla classe emergente dell’epoca(commercianti e artigiani) diventa una forma prevalentemente popolare, meno criptica del teatro nō da cui si inspira, perché oltre ad unire danza, canto e abilità mette in scena fatti realmente accaduti, talvolta successi a breve distanza dalla rappresentazione stessa, i due filoni più utilizzati sono i drammi storici e i drammi sociali.
Kabuki deriva dalla parola Kabuku che significa fare cose stravaganti.
La maggior parte delle opere venne scritta a più mani, infatti in uno spettacolo odierno si nota che ogni atto racconta una storia a sé senza un filo conduttore per legarle assieme.
Di recente ho avuto la possibilità di assistere ad uno di questi spettacoli al Kabuki-za Theatre a Tokyo nel quartiere di Ginza. Il teatro, nascosto tra i grattacieli, propone solamente spettacoli di questo tipo ed è uno dei più famosi, dove appassionati o semplicemente curiosi si ritrovano.
Gli spettacoli sono suddivisi in più atti e si ha la possibilità di acquistare o un biglietto per uno spettacolo intero o per un atto singolo, personalmente ho scelto la seconda opzione perché effettivamente era un salto nel buio, ma è stata un’esperienza che rifarei senza pensarci un attimo.
Credo che la prima cosa che venga in mente sia “Come farò a comprendere ciò che viene detto?”, non è solo una domanda che si fa uno straniero che non conosce la lingua, anche molti giapponesi si avvicinano a questa forma di teatro con titubanza, principalmente per il modo arcaico in cui vengono espressi i concetti con suoni lunghi e cadenzati.
Il teatro è molto preparato su questo punto, mette a disposizione il riassunto in inglese dell’atto che si va guardare e offre la possibilità di noleggiare un’audioguida per capire quello che gli attori dicono, un po’ come all’opera dove si ha la possibilità di leggere le parti cantate sopra degli schermi.
Se mi dovessero chiedere di paragonare un nostro spettacolo in stile europeo con uno spettacolo Kabuki direi proprio l’opera, non tanto per i temi trattati, ma proprio per come si approccia la gente oggi con questa forma d’arte, con rispetto, curiosità e un po’ di incertezza.Il biglietto d’ingresso è libero, quindi chi prima arriva meglio alloggia, non ho usufruito dell’audioguida per scelta, come primo approccio ero più interessata all’estetica, alla gestualità dei movimenti e alle varie caratterizzazioni dei personaggi a livello costumistico, se avessi un’altra possibilità di vedere uno spettacolo prenderei in considerazione l’audioguida.L’atto a cui ho assistito si intitolava YAYOI NO HANA ASAKUSA MATSURI [The Flowers of March and the Festival at Asakusa]
La storia è suddivisa in quattro danze, la peculiarità è data dal fatto che i protagonisti sono gli stessi due attori che si cambiano d’abito direttamente in scena e passano da un personaggio all’altro.
Si comincia con due pescatori che si trasformano negli spiriti del “Bene” e del “Male”, la seconda danza parla di due figure dell’antica storia giapponese, l’imperatrice Jingu e il suo fidanzato Takeuchi Sukune, lei è incinta, ma partorisce in ritardo l’Imperatore Ojin mentre conduce una campagna militare.
La danza successiva evoca la fondazione del tempio di Asakusa quando due pescatori trovano un’immagine d’oro della divinità buddista Kannon nelle loro reti. In questo caso, gli spiriti del “Bene” e del “Male” che incontrano sono rappresentati da due sfere che posseggono i due e li animano in una vivace danza.
Dopo una breve ballata comica con due artisti con personalità contrastanti che suonano lo Shamisen (tipico strumento giapponese che potrebbe ricordare una chitarra), l’atto si conclude con la Lion dance con i due artisti che evocano i potenti spiriti soprannaturali del “Bene e del “Male”.L’ultima parte dello spettacolo è quella che mi ha coinvolto di più, complice la musica sempre più incalzante e l’atmosfera quasi palpabile che si era creata tra gli attori e il pubblico.
Se siete amanti del teatro e se ne avete la possibilità io dico di provare, è un’esperienza che amplierà i vostri orizzonti.
Se invece vi volete solo avvicinare per capire se vi può piacere o meno il teatro kabuki, consiglio di vedere “Addio mia concubina” dove la storia è ambienta in un teatro cinese con rimandi a quello kabuki o “Memorie di una Geisha”, molto interessante la serie animata “Kabukibu” che segue le vicende di un club scolastico di kabuki.